giovedì 29 ottobre 2009

IL CERVELLO VIEN SUONANDO

Chitarra, pianoforte, flauto. Non importa lo strumento che avete scelto per vostro figlio o che lui stesso ha scelto di suonare. Ciò che conta è che coltivi al meglio la passione per la musica, perché un domani, non solo sarà in grado di destreggiarsi con il pentagramma (cosa che non tutti sapranno fare), ma potrà anche godere di un quoziente intellettivo più elevato della norma. Non per niente molti componenti del Mensa (associazione internazionale di cui fanno parte solo persone con un QI superiore a 148), si sono dedicati (e spesso ancora si dedicano) alla musica. Sono queste, in sostanza, le conclusioni di uno studio condotto da scienziati dell’Università di Zurigo. Gli esperti hanno visto che il cervello di chi impara a suonare la chitarra o il pianoforte (ma anche tutti gli altri strumenti), subisce un cambiamento positivo dal punto di vista strutturale e cognitivo: rispetto a quello di chi non suona nulla, infatti, diviene più grande, più ricettivo, in pratica più efficiente. Dal punto di vista intellettuale è emerso che, in media, il quoziente intellettivo di chi pizzica le corde di una chitarra o soffia nelle meccaniche di una tromba, aumenta di 7 punti. Il fenomeno riguarda indistintamente grandi e piccini e provoca, inoltre, un miglioramento complessivo dell’attività cerebrale, che si ripercuote su una maggiore capacità di accumulare informazioni (non solo musicali) e di memorizzare fatti ed eventi.
Oltretutto, imparando la musica, si controllano meglio le emozioni. Lutz Jancke, psicologo dell’Università di Zurigo, dice che «imparare uno strumento porta a un incremento del QI intellettivo di bambini e adulti». Riguardo agli over 65, di solito poco propensi a cimentarsi in nuove attività, è emerso che basta suonare uno strumento per un’ora alla settimana per 4 o 5 mesi per modificare, in meglio, l’“architettura” del cervello. Coinvolte in questo cambiamento anche aree legate al coordinamento degli arti, spesso deficitarie in chi è più in là con gli anni. «Per quanto riguarda invece i bambini» continua Jancke «si è visto che chi si dedica allo studio del pianoforte è più disciplinato ed è in grado di organizzarsi e di concentrarsi meglio degli altri». In sostanza, precisa lo studioso, i piccoli che suonano qualche strumento, a lungo andare, diventano più brillanti e più svegli dei coetanei attratti da altre occupazioni. Ma l’importanza di imparare a suonare uno strumento non finisce qui. Lo studio svizzero ha messo in evidenza che questa attività facilita addirittura l’apprendimento delle lingue straniere, e il senso di empatia verso chi ci circonda: «Tutto parte dal presupposto che studiando accordi e tonalità diviene più semplice tenere a mente frasi e parole e quindi lingue straniere» spiega lo scienziato d’oltralpe. «Inoltre i piccoli che imparano a suonare uno strumento, riescono, ascoltando semplicemente il tono di voce di una persona, a inquadrarne lo stato d’animo e a intuirne, quindi, esigenze e pensieri». Risultati analoghi a quelli di Jancke sono stati ottenuti recentemente anche da Glenn Schnellenberg, psicologo dell’Università di Toronto. In questo caso lo scienziato ha sottoposto a una serie di test 144 bambini di 6 anni, suddividendoli in quattro gruppi. Alla fine si è visto che il QI migliorava soprattutto nel gruppo di bambini che aveva studiato musica. A questo punto secondo gli studiosi è necessario andare avanti con la ricerca per capire come e quando la musica può essere utilizzata anche in campo medico. Il passo successivo, quindi, sarà quello di affiancare lo studio di uno strumento musicale nelle terapie per la riabilitazione neurologica - legata, per esempio, a persone che hanno subìto ictus - o nella lotta all’Alzheimer.


(Pubblicato su Libero il 29 ottobre 09)

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