martedì 29 giugno 2010

Il simbolo della sperequazione ambientale e morale del mondo contemporaneo

Frank Fenner
L'altra sera alla Fata Verde si parlava di economia e delle difficoltà che si hanno a dare vita a una società equilibrata ed egualitaria. Molti sostengono che sia un'utopia, io invece continuo a essere convinto del contrario. Certo, sono necessari degli sforzi, partendo innanzitutto dal popolino, che critica ma non fa autocritica, consuma e non risparmia, insomma, predica bene ma razzola male. Così si crea un ulteriore divario fra la "metà degli obesi, e la metà degli affamati", che prima o poi (come dice in questi giorni il microbiologo Frank Fenner) ci si ritorcerà contro, portando l'uomo sull'orlo dell'estinzione. Domenica l'ennesima illuminazione: l'egregio articolo pubblicato sul Sole scritto da Stanley Ulijaszek, antropologo dell'Università di Oxford. Anche lui punta sulla necessità di una società più adulta e consapevole, che ragioni a 360 gradi, non guardando solo al proprio orticello di casa, l'unico modo per superare la crisi ed evitare i prossimi patatrac economici. Detto ciò in molti prevaricano il mio pensiero associandolo a quello di un politico esasperato, in realtà il mio approccio non è affatto politico, ma filosofico. Il discorso infatti è più ampio, e concerne anche l'innata aggressività umana associata alla giusta dose di competitività, argomenti appannaggio delle scienze umanistiche o semmai della biologia evoluzionistica: un tempo queste prerogative umane consentivano all'uomo di evolversi, permettendogli di avere la meglio sulle altre specie; se l'uomo non fosse stato adeguatamente aggressivo e competitivo oggi non ci sarebbe più. Paradossalmente però queste stesse prerogative sono quelle che stanno mandando a rotoli l'umanità, che portano l'uomo a sfruttare le risorse altrui e quelle del pianeta senza cognizione. (E l'Inter a vincere Champions, Scudetto, e Coppa Italia in un colpo solo!). Soluzioni? È la domanda che mi ha posto il mio amico Mauro, quando però era ormai troppo tardi per rispondere (e forse è stato meglio così): era già notte fonda e l'indomani tutti ci saremmo dovuti alzare presto per andare al lavoro. In ogni caso l'articolo di Ulijaszek può essere utile proprio a questo scopo. Lo riporto integralmente cogliendo l'occasione per inaugurare una nuova voce di Spigolature: filosofia (e scienza).


Poche statistiche condannano moralmente i sistemi politici ed economici del mondo come quelle che rivelano la coesistenza di fame e obesità mentre l'intera popolazione avrebbe abbastanza cibo se fosse equamente accessibile. Si può pronunciare una condanna morale simile nei confronti dei sistemi che mirano a controllare le risorse energetiche mondiali per alimentare una crescita economica insostenibile per l'ambiente. Entrambi i fenomeni sono collegati in maniera sistemica, in quanto squilibri nel flusso di energia. Al livello dell'individuo, produce malattie associate alla denutrizione e alla sovra-alimentazione; a quello dello stato-nazione, lo sfruttamento dell'ambiente porta a una ricchezza insostenibile. Entrambi i livelli sono importanti, ma qui vogliamo soffermarci sull'idea di omeostasi e di equilibrio energetico che sottende le diverse concezioni di salute nutrizionale e ne spiega la fisiologia. È insita nella scienza ormai secolare della bioenergetica.
L'alimentazione e l'attività fisica sono fortemente implicate nel regolare il peso corporeo, meccanismi fisiologici omeostatici ci difendono dai cambiamenti nell'equilibrio energetico che la nostra fisiologia raggiunge più facilmente in un mondo dove il cibo è meno accessibile. In questo caso, il deficit energetico porta all'inizio a una perdita di peso, ma l'equilibrio viene ricalibrato a livelli inferiori di entrate e di spese energetiche, attraverso una gamma di adattamenti fisiologici, comportamentali e nutrizionali che tutelano composizione e dimensioni corporee. Nel caso di cibo abbondante, esistono solo debolissimi meccanismi omeostatici per tornare all'equilibrio e di solito ne consegue un aumento sia di peso che di dimensioni. Nel corso dell'evoluzione, i periodi di carestia o di risorse adeguate saranno stati più frequenti di quelli dell'abbondanza e non sorprende che l'omeostasi - il mantenimento della stabilità delle condizioni biologiche interne - disponga di meccanismi meno potenti per affrontare l'eccesso. In natura, grossi predatori approfittavano della minor mobilità che deriva da un accumulo eccessivo di grassi. Perciò l'obesità è un fenomeno recente, specifico degli esseri umani - e dei loro animali domestici - da quando sono stanziali e in particolare da quando si avvalgono della produzione sempre meno costosa dell'agricoltura post-industriale, e della meccanizzazione recente della vita quotidiana.


C'è una discordanza tra le due teorie dell'obesità. Sarebbe dovuta, dice la teoria fisiologica prevalente, a uno sconvolgimento dell'omeostasi, mentre secondo la teoria evoluzionistica, sarebbe una resistenza all'entropia (la generazione di una massa maggiore con l'aumento dell'organizzazione e delle energia disponibile) in assenza di predatori che minaccino gli esseri umani. In medicina, il principio omeostatico è precedente alla filosofia socratica, infatti discende direttamente dalla dottrina dell'equilibrio tra proprietà opposte. La teoria degli umori, di elementi dissimili e opposti che si controbilanciano, deriva da Ippocrate ed è stata alla base della medicina occidentale fino all'Illuminismo. Nel Settecento l'anatomia e la fisiologia che avrebbero definito le strutture e le funzioni corporee normali nacquero dalla ragione scientifica e dall'osservazione diretta. Da quel momento la diagnostica si basò sempre di più sulla conoscenza della patologia e delle deviazioni dalla norma, eppure la nozione di equilibrio tra gli opposti non scomparve del tutto. È riemersa a proposito della prevenzione di malattie croniche, della gestione del diabete a insorgenza in età matura e della sindrome di Turner, e soprattutto dell'obesità: per evitarla, l'energia tratta dal cibo deve corrispondere a quella spesa per il mantenimento delle funzioni corporee, per la riproduzione e per l'attività fisica. Se l'omeostasi s'innesca facilmente in situazioni di carestia (come nel corso dell'evoluzione), in situazione d'abbondanza come quella recente, l'obesità risulta dallo squilibrio tra energia assunta e spesa, e anche tra il desiderio di consumare e il bisogno di controllare i consumi per evitare un eccesso di grasso. Quando il discorso sull'equilibrio energetico è inquadrato in questi termini di responsabilità individuale, è facile che emerga una cultura del biasimo e di stigmatizzazione.
L'obesità potrebbe dipendere dal fatto che una volta raggiunta la sicurezza alimentare, ci siamo messi a mangiare non per fame, ma per un piacere che è sia sociale e culturale che individuale e neuropsicologico. Se è così, l'appello a limitare l'energia in entrata e in uscita rischia di non essere ascoltato, perché intuitivamente non sembra buona biologia. È vero che facciamo molte cose biologicamente sbagliate, e il corpo percepisce facilmente un equilibrio in condizione di abbondanza. Durante l'evoluzione la strategia di massimizzare le entrate e minimizzare la spesa energetica ha favorito una complessità biologica crescente e il cervello, invece di attivarsi per controbilanciarle, è in combutta con il resto del corpo per accrescere massa e ordine, sia nell'individuo che nella popolazione. Oggi controlliamo la nostra riproduzione e trasferiamo il surplus energetico nei grassi del corpo invece che in un maggior numero di figli come avveniva nel mondo premoderno.
Il nostro corpo non è l'opera di un macchinario prevedibile che risponde automaticamente a una mente razionale al controllo di tutto, bensì un'opera in corso che emerge da processi continui, dinamici all'interno di particolari contesti sociali e ambientali. Un approccio dualistico, cartesiano, nel quale la funzione fisica prevale sui processi vivi dell'evoluzione non aiuta a capire il fenomeno dell'obesità perché gli manca l'anello teorico costituito dall'idea di energia, nel senso comune e scientifico del termine. Se consideriamo l'equilibrio energetico come una pratica quotidiana, e non solo come un costrutto intellettuale, possiamo esplorare le spinte culturali che stanno dietro ai comportamenti alimentari e all'attività fisica. Possono essere principalmente sensorie (lo scopo è di provare piacere), sociali (lo scopo è di essere accettato dal gruppo) o estetiche (un intervento per contrastare i cambiamenti nella forma corporea durante la vita). Contano i flussi energetici sia culturali che biochimici, ma si basano su esperienze e su principi diversi.
In un certo senso potremmo dire che la scienza della bioenergia sta entrando in un mondo post-illuminista che per alcuni aspetti assomiglia a quello pre-illuminista nella sua costruzione aristotelica del corpo. Gli assomiglia anche nella multidisciplinarietà degli addetti che cercano di risolvere complessi problemi di squilibrio energetico, come l'obesità e i cambiamenti climatici, ai quali aveva contribuito l'approccio cartesiano. Ma oggi i ricercatori dispongono di nuove tecnologie e del senno di poi.

Stanley Ulijaszek e Caroline Potter
Fonte: Sole 24 Ore

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