martedì 5 giugno 2012

La crisi del maschio e il sopravvento dei "mammi"


Basta andare indietro di pochi decenni - diciamo a prima degli anni 80 - per accorgerci che alcuni atteggiamenti tipicamente maschili sono venuti meno, in virtù di un cambiamento sociale che ancora oggi marcia di gran carriera. Cosa sta accadendo? Basta guardarci intorno. Vediamo, infatti, uomini che fanno da mangiare, spingono il passeggino, cambiano i pannolini, si prendono cura del proprio piccolo come se fossero delle vere mamme, oltre a palesare un'emotività difficilmente rapportabile al concetto di sesso forte, consolidatesi nel corso di secoli e secoli di evoluzione. Ecco perché si sente dire che il maschio è in crisi, sta perdendo l'identità e perché alcuni opinion leader della carta stampata arrivano addirittura a proporre il termine “mammo”, per sottolineare la tendenza maschile ad assolvere compiti “parentali” di solito appannaggio della donna. Al “mammo” si arriva ufficialmente dopo il boom del film Mrs Doubtfire, con uno spregiudicato Robin Williams nei panni di una governante che, per poter continuare a vedere i figli, inscena stratagemmi sempre più rocamboleschi. Non è un caso che il mutamento dei costumi sociali maschili abbia avuto il sopravvento proprio alla fine degli anni 70. È in questo periodo, infatti, che si innescano retroscena popolari in antitesi con l'input darwiniano, che da sempre si prodiga per mantenere su piani ben distinti i macrocosmi maschili e femminili. La rivoluzione comincia nella donna con l'assimilazione di comportamenti che parevano inauditi fino a pochi decenni fa: le donne moderne, di fatto, leggono, scrivono, vanno al lavoro, e sono sempre più indipendenti anche e soprattutto dal punto di vista economico. Sono le prerogative che alla fine hanno portato a un'assimilazione sempre più netta fra uomo e donna. Il fenomeno è stato studiato con particolare attenzione in Inghilterra dove i mammi, negli ultimi 15 anni, sono addirittura triplicati. Si parla di 62mila mammi inglesi, riferibili ai nostri 22.600 italiani. “Non ci sono più gli uomini di una volta”, asserirebbero in molti, non solo in ambito accademico. Non a torto. Un tempo, infatti, l'uomo dedicava tutto se stesso all'attività manuale, ai lavori più duri, che non potevano essere assolti dalla donna, per via di un fisico meno prestante e possente; rientrava dal lavoro e l'unico extra di cui si faceva carico era quello relativo al far quadrare i conti familiari. Nient'altro. Il resto – dalla cura dei bimbi, alle faccende domestiche – era compito femminile. Le mansioni erano così ben delineate che non c'erano rischi di incomprensione fra uomo e donna, anche se oggi siamo tutti ben consapevoli del fatto di avere vissuto fino a ieri in una società pragmaticamente maschilista. Non per niente piace molto oggi ai sociologi ricordare che “per anni l'uomo ha parlato della donna, senza mai parlare con lei”. Col tempo, però, le cose sono cambiate, più o meno con lo scoppio della rivoluzione industriale; e a seguire con l'avvento del boom economico e i movimenti per l'emancipazione femminile. Alla fine dell'Ottocento i due sessi rappresentavano pianeti lontani, ma nel giro di pochi anni si sono avvicinati a tal punto da fare perdere punti di riferimento importanti per chiunque intendesse affrontare il mito uomo-donna, così ben rappresentato dall'affascinante storia di Tiresia, figura decantata da Ovidio e Dante. A rimetterci, in ogni caso, non sono stati sia gli uomini che le donne, ma verosimilmente soltanto i secondi. Se la donna, infatti, ha acquistato potere, forza e consapevolezza delle sue doti, l'uomo, di pari passo, ha smarrito la sua posizione di padre-padrone, femminilizzandosi a favore di atteggiamenti che solo cento anni fa parevano inconcepibili. L'uomo si è, in sostanza, “ammorbidito”, in funzione di nuove esigenze familiari e pedagogiche che sembrerebbero più consone ai tempi moderni, e che invece non avrebbero avuto senso di esistere quando la peculiarità di un capo tribù era quella di primeggiare fisicamente su animali selvaggi e bruti. Con ciò, anche dal punto di vista “funzionale”, l'uomo, il maschio, non è più quello di un tempo, essendo drasticamente cambiato a livello anatomico, comportamentale e psicologico; motivo per cui oggi ci pare del tutto normale vedere un padre cambiare il pannolino a un bimbo, coccolarlo affettuosamente, prima di leggergli la favola della buonanotte, circostanze, un tempo, ascrivibili unicamente al mondo femminile. Dal punto di vista biologico, dunque, si è giunti a traguardi che, se da una parte parrebbero migliorare la crescita e l'educazione dei più piccoli, dall'altra dovrebbero indurre alla riflessione, suggerendoci l'ipotesi che, se la tendenza a questa omogeneizzazione dei sessi dovesse progredire ulteriormente, si arriverebbe a un possibile scontro fra uomo e donna, che all'improvviso si vedrebbero depauperati di ruoli che gli sono appartenuti per millenni. Qualcosa che, paradossalmente, sta già avendo luogo. Lo testimoniano i numerosi matrimoni che falliscono, le innumerevoli famiglie che gettano la spugna, incapaci di manovrare un'esistenza che si credeva molto più semplice, in virtù degli esempi ereditati dalle generazioni precedenti, dove un legame – nel bene e nel male – difficilmente veniva scardinato. Se da un lato, quindi, la “femminilizzazione” maschile sembrerebbe far bene ai nuovi venuti, d'altra parte parrebbe creare scompensi a livello di coppia, che ripercuoterebbero sui più piccoli. In pratica si guadagnerebbe da una parte, ma ci si perderebbe dall'altra, con padri sempre più mammi, ma anche figli sempre più soli perché privi di uno dei due genitori naturali. Ecco perché l'ortodossia in campo sociologico arriva addirittura a ipotizzare che, per il successo della famiglia a ogni livello, andrebbero mantenuti i paradigmi comportamentali di un tempo. Detto ciò, non tutto è perduto. Ce lo insegna la natura, offrendoci molti esempi in cui il ruolo di mammo è tutt'altro che superato e perfettamente in linea con le esigenze evolutive di una specie. Nei pinguini, per esempio, il maschio si prende spesso cura delle uova, alternandosi alla femmina. Nei pinguini Imperatore, addirittura, questa attitudine è gestita esclusivamente dai maschi. Anche molte altre specie osservano un comportamento simile, fra cui rane e struzzi. Mentre fra i mammiferi le cure parentali maschili sono una caratteristica dei licaoni.


Alla luce di queste considerazioni dovrebbe, dunque, suonare meno strano il fatto di trovarsi a tu per tu con un mammo che amorevolmente accudisce il nuovo venuto, prendendosi carico, se necessario, di tutto ciò che ne consegue, compresa la preparazione di pappette e il lavaggio di indumenti sporchi. Tuttavia ci si chiede se dal punto di vista antropologico e filosofico tutto ciò sia positivo. Il dubbio sorge considerando che l'evoluzione non lascia nulla al caso e che se ha portato al differenziamento dell'uomo dalla donna per ovvi motivi di sopravvivenza, seguendo verosimilmente un progetto selettivo diverso dalle specie citate poc'anzi, un motivo ci deve essere, e andrebbe seriamente preso in considerazione, anche se al termine rusticitas si continua logicamente a preferire civilitas. L'uomo è più forte, più aggressivo, e soprattutto meno sensibile della donna, perché il suo ruolo è sempre stato quello di proteggere fisicamente il clan di appartenenza, senza farsi sopraffare dalla paura, dalle emozioni, dalla fatica e dal dolore. D'altro canto la donna ha evoluto l'atteggiamento contrario, perché alla buona crescita di un figlio non è mai servita solo la forza fisica in grado di fronteggiare i pericoli, ma anche quella derivante dal sentimento e dal “cuore”: l'amorevolezza, l'affettuosità, la dolcezza, sono prerogative femminili fondamentali per la crescita di un piccolo, tanto quanto lo è il potere maschile di allontanare un potenziale predatore; anche se la donna paga a caro prezzo questa sensibilità, soccombendo più spesso alle malattie di natura psichica, come l'ansia e la depressione. Queste divergenze evolutive hanno fatto sì che per millenni la specie umana sia progredita, portandoci a credere che anche per le generazioni future sia utile proseguire in questo senso. Ma sappiamo che le cose stanno prendendo una piega diversa, pertanto ci si interroga sull'avvenire della specie umana, focalizzandosi innanzitutto sul maschio che sembrerebbe sempre più compromesso dal punto di vista biologico. Prima dicevamo che erano soprattutto le donne a soffrire i disagi psichici. Eppure, oggi, gli studi confermano che, fra le persone in cura per problemi “mentali”, l'uomo è sempre più frequente. È vero che un tempo il maschio tendeva a nascondere con abilità i suoi patemi d'animo, ma è altrettanto vero che un tempo nevrosi e distimie sembravano un'esclusiva del gentil sesso. Gli studiosi della Emory University, invece, ne sono certi: entro cento anni, uomini e donne soffriranno di depressione in egual misura. Oggi tre uomini su dieci sono depressi, contro il 60% delle donne; ma il dato nel corso del Ventunesimo secolo si assottiglierà al punto da rappresentare un'unica percentuale. Secondo gli studiosi americani, «gli uomini del futuro dovranno, dunque, affrontare gli stessi rischi di depressione che le donne hanno affrontato nel passato». E il caso più emblematico riguarda l'uomo che inizia a soffrire perfino di depressione post-partum. Un recente studio condotto in USA ha, infatti, appurato che sempre più spesso, nelle coppie che hanno un figlio, quello che deve essere aiutato non è la neo-mamma, ma il neo- papà. I dati arrivano da una ricerca condotta dagli esperti dell'Università del Michigan, secondo i quali molti padri che vanno in tilt dopo la venuta al mondo della propria creatura, mostrando una (lecita?) inettitudine al proprio ruolo genitoriale; non tanto perché non sono in grado di fare i papà, prendendosi carico della famiglia e dei doveri ad essa legati, ma quanto perché non sono in grado di comprendere dove finisca il ruolo di padre, e inizi quello di madre. Il fenomeno è tutt'altro che banale, riguardando già il 10% dei neo-genitori. Un papà su dieci diventa, dunque, genitore, ma perde la bussola, mettendo in atto comportamenti che nulla hanno a che vedere con un buon ruolo educativo, ripercuotendosi negativamente sui piccoli. Anche qui i dati sono allarmanti. La New York University School ha infatti evidenziato che il 6% dei bimbi con padre depresso sviluppa in seguito disturbi comportamentali. Ancora una volta, quindi, viene da chiedersi se ha davvero senso l'affermazione di figure come il mammo, se poi gli aspetti negativi in ambito pedagogico finiscono col superare quelli positivi. Ma le defaillance psichiche del maschio moderno sono solo uno fra i tanti problemi insorti nelle ultime generazioni. Il maschio non è più lo stesso di un tempo anche per altri motivi, compresi quelli di natura fisiologica. Il suo potere fecondativo, per esempio, è drammaticamente sceso rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto. Con meno frequenza, dunque, il maschio riesce a concepire, al di là della tendenza globale a mettere volontariamente al mondo meno figli. È, di fatto, un problema di natura biologica. Lo sperma degli uomini moderni è molto meno efficace di quelli di un tempo. Negli ultimi anni sono usciti vari studi che confermano questa tendenza. Una delle ricerche più interessanti viene da Barcellona, dove un team di scienziati ha provato che il 57,8% dei giovani possiede spermatozoi di qualità inferiore a quella che l'organizzazione mondiale della sanità considera normale. Su 1239 giovani fra i 18 e i 30 anni, più della metà, quindi, potrebbe rischiare di avere difficoltà di concepimento.


Anomalie si riscontrano anche dal punto di vista anatomico, tenuto conto di fattori come quello relativo al fatto che gli organi genitali maschili di oggi, sono dimensionalmente più piccoli di quelli del passato. Uno studio condotto in Italia, dal Servizio per la Patologia della Riproduzione umana dell'Azienda ospedaliera universitaria di Padova, ha evidenziato che i giovani del terzo millennio presentano un organo copulatorio più piccolo di quasi un centimetro rispetto ai coetanei degli anni 50. I test hanno preso in esame giovani intorno ai vent'anni dimostrando che nel 1948, in media, il pene di un ragazzo era lungo 9,7 centimetri, contro gli 8,9 centimetri del 2012. Da una parte, quindi, si ha un ridimensionamento degli organi sessuali, dall'altra invece si assiste a un allungamento degli arti: il 36% dei ragazzi presi in esame ha, infatti, braccia più lunghe e il 47,7% gambe più lunghe. Ma le due cose coincidono perché il sistema scheletrico è governato dal sistema endocrino, in particolare dagli ormoni gonadici del testicolo. Con ciò è del tutto lecito supporre che la qualità spermatica e lo sviluppo genitale vadano di pari passo con alterazioni a livello scheletrico. Il problema potrebbe essere imputabile all'obesità e al sovrappeso. Oggi, in pratica, si mangia di più e male, e dunque questa prerogativa influenza in egual modo distretti periferici differenti del corpo umano. A proposito di ormoni, il maschio moderno soffre anche di un abbassamento dei livelli di testosterone nel sangue. Il testosterone è l'ormone maschile per antonomasia, un ormone steroideo prodotto perlopiù dalle cellule di Leydig presenti nei testicoli. La sua azione nell'uomo è fondamentale per la fertilità, e si riferisce a una produzione giornaliera di 5-7 milligrammi, dose che cala progressivamente dai 30 anni in poi. Il testosterone, alla base anche del desiderio sessuale, cala fisiologicamente quando un uomo sta per diventare papà. È l'ennesima trovata dell'evoluzione per cercare di salvaguardare al meglio la prole. Calando l'ormone, infatti, cambiano anche alcuni requisiti caratteriali del maschio, che diviene più docile, più servizievole e meno incline alle scappatelle, tutti atteggiamenti a favore della famiglia. Ma al di là di questo calo del tutto naturale, quel che non rientra nella norma sono i livelli di testosterone medi nella popolazione generale, assai più bassi di quelli di un tempo. E anche in questo caso si trova riscontro con quei parametri che tendono a essere inversamente proporzionali alla massa grassa di un organismo. Alla luce di questi dati è, dunque, del tutto verosimile supporre che si stia assistendo a un mutamento generale dei ruoli sessuali nella società, soprattutto a discapito del maschio. Ma non è, forse, corretto parlare di “maschio in crisi”, bensì di una diversa opportunità data alla nostra specie di progredire in funzione del proprio ingegno. Qualcosa che alcuni animali, evidentemente, hanno già capito.

1 commento:

Valerio ha detto...

Ho letto il post tutto d'un fiato! Davvero interessante! La tua è un'analisi psicologica e biologica dell'uomo che cambia e soprattutto della società in funzione di una parità di sessi. C'è d'aggiungere (o ribadire) che purtroppo l'uomo si vede costretto a svolgere ruoli che non sono suoi. In funzione di questa nuova società dove la donna dove si pone la donna al centro di tutto l'uomo non può far altro che stare al gioco cedendo parte della sua identità. Sentir dire malinconicamente che "non esistono più gli uomini di una volta" è ipocrita o da stupidi, l'uomo di una volta non può esistere perché è la società stessa che impone il divieto. Ritornare a come è una volta, dove la donna era succube dell'uomo è immorale e lo riconosco, ma attribuirgli ruoli femminili durante il quotidiano danneggia gravemente la sua figura maschile sia agli occhi della moglie che dei figli; infatti nelle famiglie difficilmente l'uomo odierno ha il comando della famiglia, oggi si parla di un sistema familiare matriarcale.
Di questo scompenso sociale ne parla anche Bruna Magi (forse l'unica) nel libro "E' la stampa, signori" dove afferma che la donna in questo periodo sta approfittando della sua emancipazione. Il libro prende in considerazioni uomini che dopo la separazione devono garantire il mantenimento alle proprie mogli, nonostante siano ridotti sul lastrico. In conclusione affermo che oggi l'uomo deve Riprendersi i suoi diritti, e farlo al più presto se un giorno vorremo sentire dell' "emancipazione maschile".